Qui di seguito riportiamo l'intervento tenuto durante l'assemblea dal dott. Moriconi che ringraziamo ancora per la disponibilità:
Enrico Moriconi
Medico Veterinario Dirigente SSN - Consulente Etologia e
Benessere Animale
Riflessioni sul progetto del macello Hamburgher Pini a
Manerbio
In
primo luogo, una breve riflessione sul significato delle parole. Le iniziative
di contrasto al progetto vedono la presenza, più che opportuna, della sigla dei
Beni Comuni: infatti, in questo come in molti altri casi, si tratta della
difesa di quel bene comune che è la democrazia, anche se spesso si dimentica.
La democrazia vorrebbe il confronto tra amministratori e amministrati e invece,
troppo spesso, gli eletti nelle assemblee, e i nominati con incarichi di
governo, ritengono che il loro ruolo conferisca il potere di decidere senza
ulteriormente misurarsi con i cittadini.
Invece, oggi più che mai, di fronte a scelte importanti per una comunità
è necessario valutare le diverse opzioni, con un dibattito basato su elementi
oggettivi e non su prese di posizione preconcette.
In
un mondo globalizzato, giova ricordare
che l'agricoltura, e l'allevamento che ne è una parte, è stata la prima
attività produttiva globalizzata, se si pensa che dopo la scoperta delle
Americhe da subito si è iniziato a produrre in quei paesi per esportare in
Europa, e che i prodotti tecnologici del tempo facevano il percorso inverso
dall'Europa alle Americhe. Oggi non è possibile immaginare un mondo non
globalizzato o meglio non è possibile immaginarlo se non intervengono
modificazioni sostanziali che non si vedono all'orizzonte. La globalizzazione in campo agricolo era
in vigore anche quando esistevano i dazi a protezione delle merci nazionali;
oggi che non esistono più diventa difficile pensare a come fermare la marea
neoliberista.
A
livello economico è necessario ricordare come in Italia l'agricoltura sia
rimasta l'attività produttiva primaria più importante, accanto all'edilizia,
avendo perso quasi tutte le industrie, poichè servizi e terziario non producono
risorse primarie ma valore aggiunto.
L'allevamento
suinicolo in Italia è, dopo quello avicolo, la prima attività zootecnica per
numero di animali allevati e la
Lombardia è la regione italiana che da solo alleva quasi la metà dei suini
presenti in Italia e Brescia la provincia dove la suinicoltura è più
sviluppata.
Nonostante
la grande produzione però l'Italia resta un paese importatore di suini vivi e
di carne suina, e la maggioranza dell'import serve per il consumo interno, le
esportazioni sono circa l'11% della produzione, una quota molto bassa.
Le importazioni influenzano il sistema in quanto
fanno abbassare il prezzo degli animali venduti nel nostro paese, poiché il
prezzo più basso costringe al ribasso tutto il comparto produttivo.
Si dirà che deve valere la
tipicità del “Made in Italy”
Il Made in Italy vale solo a
livello di vendita del prodotto finito, ed infatti è uno slogan molto
reclamizzato, però evidentemente non vale per la materia prima: i suini da cui
derivano i tanto valorizzati prosciutti italiani vanno benissimo, se costano
meno, da qualsiasi nazionale europea arrivino; i consumatori però sono convinti
di acquistare made in Italy e non sanno che ciò non vale per tutto il percorso
che trasforma il suino in un cibo nel negozio, ma solo per la parte finale. Che
cioè made in Italy può essere etichettato un prosciutto di un suino olandese o
polacco o rumeno. Una volta trasformato e confezionato, tutto diventa made in
Italy. Chi leggendo l'etichetta si è
indotti a pensare che essa si riferisca all'intero processo, dalla provenienza
del maiale alla sua trasformazione.
Fatte
queste premesse si possono considerare alcuni aspetti del progetto proposto,
riflessioni che sono di tipo ambientale ed economico, essendo risaputo che
mangiare carne e soprattutto insaccati costituisce un problema di salute,
come testimoniano ormai molti studi internazionali di ricerca sul cancro ed
anche che, per il maiale, essere ucciso in un grande macello o in uno più
piccolo non cambia nulla.
Problemi del
macello Hamburgher Pini
I
circa 2 milioni e mezzo di suini macellati nel nuovo macello, equivalgono più o
meno al 15 per cento dei macellati ogni anno in Italia, ovvio pensare che il
nuovo macello, se non importa animali, farà concorrenza e farà chiudere altri
macelli. Per i suini cambia poco o nulla il luogo dove saranno macellati, ma da
un punto di vista economico ciò significa che molti dei posti di lavoro
promessi dal nuovo impianto potrebbero essere dei semplici reintegri di persone
rimaste senza lavoro. In un'altra opzione il nuovo macello potrebbe non
riuscire ad imporsi ed essere costretto a chiudere. Questa seconda ipotesi è
esattamente quanto accaduto in Piemonte dove un nuovo impianto, molto più
grande dei preesistenti, non è riuscito ad imporsi ed è tuttora chiuso. Quindi
la promessa di nuovi posti di lavoro è oltremodo aleatoria.
Si dirà
che si possono aumentare gli allevamenti. Questo però è molto difficile.
In Europa è stata necessaria una “Decisione di Esecuzione della
Commissione del 3 novembre 2011 che concede una deroga richiesta dall’Italia
con riguardo alle regioni Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto a norma
della direttiva 91/676/CEE del Consiglio relativa alla protezione delle acque
dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole”per
continuare ad allevare il numero di animali attualmente presenti in pianura
padana altrimenti sarebbe stato necessario diminuirli. Pertanto pensare di aumentare
gli allevamenti sembra utopico. A dimostrazione del rischio che si sta
correndo nelle regioni che insistono sulla Pianura Padana, si deve rilevare che
i quotidiani locali sottolineano come ci sia il problema dei nitriti nelle
acque provenienti dalle pratiche agricole.
Sul traffico stradale indotto non vi è praticamente
nulla da aggiungere rispetto ai dati che sono stati comunicati dal Movimento
che seguendo criticamente l'iter
progettuale del macello, se non che, come avviene quasi sempre nelle
proposte progettuali di un certo peso e impatto, il progetto tende a sorvolare
su alcuni aspetti di non poco conto, come quello di quantificare gli automezzi
in entrata nello stabilimento ma non quelli in uscita.
Relativamente all'acqua la contestazione punta sul
fatto che si preveda di pescare l'acqua dalla falda profonda; con la siccità
attuale, denunciata anche dai giornali locali, l'acqua deve servire per il
macello o per le coltivazioni? Inoltre, non si sa per quanto tempo la falda
profonda potrà essere sfruttata, poiché, senza piogge cospicue anch'essa
potrebbe esaurirsi.
Problemi sanitari. Teoricamente i suini dovrebbero
essere garantiti contro il rischio di malattie, se però un virus riuscisse a
spargere il contagio, le conseguenze in una zona ad altissima concentrazione di
soggetti sarebbero gravissime. Nel corso dell'epidemia di afta del 2002 in
Inghilterra si era istituito il blocco, temporaneo perché poi rimosso, del
parmigiano e prosciutto italiano, poiché
non esistendo più le barriere doganali gli stati cercano di sfruttare gli
episodi sanitari per bloccare le merci estere a vantaggio di quelle nazionali.
Se arrivasse un virus sarebbe un danno enorme per gli allevatori della zona.
Per lo smaltimento residui e dei liquami si prevede
la costruzione di vasche di depurazione però non si può dimenticare che
l'Inalca sta progettando di costruire un impianto per l'incenerimento dei
rifiuti che promette grandi guadagni con la produzione dell'energia elettrica e
forti disagi ambientali e di salute per i cittadini. Come si può essere sicuri
che anche in questo caso non sarà seguita la stessa strada?
Posti di
lavoro: non aumenteranno e saranno
precari
Non
aumenteranno perché, se il nuovo macello funzionerà a pieno regime, metterà in
crisi gli altri macelli e, per le note economie di scala, una struttura più
grande occupa in proporzione meno lavoratori di stabilimenti più piccoli. I
numeri confermano l'automazione: macellare 12000 suini in 10 ore, significa una
tempistica di un suino ogni sei secondi e ciò è possibile solo con procedure
altamente automatizzate.
In un grande macello si aggiunge di sicuro la precarietà
dei posti di lavoro.
Il
lavoro non è certo facile in uno stabilimento di questo tipo: ritmi forsennati,
condizioni ambientali pessime (freddo umidità) fatica intensa, orari
penalizzanti, conseguenze fisiche per gli operatori – ferite, traumi, lesioni –
e anche logoramento; in tali condizioni non deve stupire che appena possibile i
lavoratori cerchino sistemazioni migliori. Ciò porta ad una turnazione molto
spinta per cui pochi lavoratori riescono a persistere nel tempo.
Quindi i posti di lavoro
reclamizzati sono piuttosto precari nel tempo e non certo duraturi e sicuri.
Non aiuta gli allevatori. I grandi macelli condizionano
negativamente anche gli allevatori che hanno meno forza per imporre una
eventuale specificità di allevamento. La
concentrazione delle macellazioni facilita l'imposizione del prezzo da parte di
chi compra e penalizza pertanto gli allevatori. Gli allevatori in difficoltà
cedono l'attività alle grandi aziende che monopolizzano la filiera, dal mangime
alla vendita dei salumi passando per l'allevamento e il macello. Amadori, Glaxo, Veronesi e altri riescono
magicamente a far crescere il guadagno. Come? Semplicemente scaricando i costi
sulle attività più redditizie, come la trasformazione, e diminuendo le tasse.
Future nuove regole per i trasporti? Il Parlamento
europeo ha votato una mozione affinchè si legiferi che gli animali da macello
non possano viaggiare per tempi superiori alle otto ore. Già da tempo si
discute su questo punto e si deve ricordare che la Germania non sarebbe proprio
scontenta se venisse applicato perché la avvantaggerebbe nei commerci; come
sempre la tutela degli animali è subordinata agli interessi economici. Nella
carta geografica europea, la Germania è
centrale e può aspirare a diventare la nazione deputata concentrare la maggior
parte delle macellazioni ed esportare la carne. Con la limitazione oraria dei
viaggi, come si approvvigionerà questo mega macello se non richiamando i suini
dalle altre strutture?
L'opposizione locale deve far leva sulla poca convenienza
per la comunità locale e per quella nazionale. Non sempre, anzi quasi mai,
bastano le buone ragioni per riuscire a contrastare le cattive proposte; gli
esempi dimostrano che le critiche mosse in sede di progetto molto spesso si
dimostrano vere all'atto pratico, quando però è troppo tardi per porvi rimedio.
Esempi in tal senso si sprecano. Per le opposizioni si tratta di convincere gli
abitanti locali della scarsa convenienza e opportunità di certe opere, come il
macello Hamburgher Pini, e solo con l'attivismo e la pubblicizzazione si può
fare massa critica che facendo pressione sui decisori li porti ad evitare
scelte sbagliatissime. Gli ambientalisti spesso devono dire di NO solo perché
chi propone le opere lo fa senza confrontarsi e senza discutere soluzioni e
ipotesi alternative e diverse.